Considerazioni sull’Ospedale dei Pellegrini/ Sede odierna del Museo della Regina

 

Mi è stato recentemente segnalato un articolo in cui si esternano giudizi sull’edificio acquisito nel 1581 dal vescovo di Rimini Giovan Battista Castelli per realizzare, con alcuni interventi edilizi di sistemazione, un ospedale per dar ricetto ai pellegrini impegnati nei viaggi di devozione (Loreto e Roma in primis). Nello scritto in questione, intitolato Di ponte in ponte, siglato da Maria Luisa Stoppioni (estratto da I ponti dimenticati sul Conca: importanti collegamenti nel percorso della Flaminia a cura di G. Conti et alii, Associazione culturale VEIOVE Regione Emilia Romagna, 2019, pp. 39-42), a proposito di questo stabile si legge (le parti tra virgolette, gli interrogativi e il grassetto in rosso sono nostri):

La ricomparsa [?] delle strade carrabili negli ultimi due secoli [?], rese inutili e non operativi i servizi stradali precedenti [?], così che alcune strutture, numerosi ospedali, magazzini, strutture mercantili vennero profondamente trasformati o abbandonati; in particolare, sono molto rari gli ospizi o i luoghi di sosta medievali ancora in elevato.

Si concentra poi nella sua convinta esternazione:

È una sorte condivisa dall’Ospitale di Cattolica sorto nel terzo quarto [?] del ‘500 lungo la Flaminia, demolito fino alle fondazioni dalla erezione nel 1930 della ex Caserma dei Carabinieri (oggi sede del Museo della Regina).

La ‘constatazione’ appena espressa, relativa alla demolizione e ricostruzione ex novo dell’edificio, risulta del tutto infondata e risibile. Vengo a spiegare. Con la recente ristrutturazione dell’edificio, avvenuta nel 2000 per accogliere come nuova destinazione d’uso il Museo, sono state messe in luce le opere murarie antiche, costruite dall’oste Pietro dopo aver ricevuto in concessione dalla comunità di Rimini il terreno, edificabile a queste condizioni [20 giugno 1577]:

Per abbellir et popular il luogo della Catolica si concede licentia a Piero alias Nosso … di fabricar una casa nel territorio della Catolica con la stalla per larghezza di canne cinque et per longhezza di canne quattro …

Di lì a poco però, nel 1581, la stessa casa (domus murata, in parte a due piani e in parte a piano terra) viene acquistata dal vescovo Nicola Parisani (vd. La Cattolica del Cinquecento, p. 136, nota 6) e tre anni più tardi, nel 1584 vengono intrapresi i lavori di ristrutturazione, come si evince dalla “Nota di tutto quello che va per finire l’hospitale della Cattolica”, compreso l’”arco di mattoni”, tra l’altro, riscoperto proprio durante i lavori affrontati grazie ai fondi statati recuperati dall’amministrazione Micucci, destinate ad opere collegabili al giubileo del 2000. La realizzazione della sede museale è rientrata in questo contesto. Per puntualizzare, evitando di dilungarsi sul recupero della struttura, anche se di un certo interesse, basterà rimarcare che la facciata, lato monte, è visibile nella foto aerea realizzata dall’ingegner Alfredo Pagani nel 1925, cioè prima della ristrutturazione avvenuta negli anni Trenta del Novecento. Va sottolineato che con quell’intervento edilizio, il fabbricato antico venne sopraelevato sul fronte strada, oggi via Pascoli (già Principe di Piemonte), mentre sul lato monte rimase inalterato, conservandosi il preesistente, per intero, tant’è che rimane ancora del tutto visibile, a faccia vista, il cornicione in cotto realizzato nel Cinquecento. L’intervento architettonico degli anni Trenta ha pesantemente modificato il prospetto, aggiungendo la sopraelevazione di un piano, un nuovo portale con l’inserimento di uno scalone d’accesso al primo piano, proponendo una nuova copertura a padiglione ecc., ma le strutture murarie cinquecentesche rimangono ancora inglobate. L’edificio antico non è stato raso al suolo e quello nuovo degli anni Trenta non è stato eretto dalle fondamenta. La restituzione grafica dell’edificio, così come era pervenuto prima dei lavori edilizi degli anni Trenta è stata pubblicata dalla scrivente nel volume Cattolica, Storia per Luoghi, I (2012). Pertanto assolutamente inopportune e senza fondamento risultano le parole espresse da Valeria Antonioli, Assessore alla Cultura del Comune di Cattolica, quando, nella presentazione del volume I ponti dimenticati sul Conca, asserisce:

Da alcuni anni Cattolica ha avviato una NUOVA RIFLESSIONE sui propri beni monumentali e sul volto, urbanistico e territoriale, che aveva assunto in età tardomedievale e moderna, di cui la via Flaminia rappresenta l’asse portante e connotante.

L’invito che mi sento di rivolgere, sulla scorta di queste arbitrarie affermazioni, del tutto prive di validità in fatto di ricerca e studio, è invece di intraprendere la giusta direzione per ulteriori, eventuali, altri approfondimenti storici e di non alterare con questa arbitraria “nuova riflessione” una inconfutabile verità storica, documentaria e architettonica.

Compito dell’Assessore alla Cultura è non solo di tutelare i “propri beni monumentali” (per riprendere le sue stesse parole), ma anche e soprattutto di preservarli dalle false interpretazioni.

Che cosa vogliamo raccontare alle scolaresche in visita al Museo? che l’edificio, che ancora trattiene tracce visibili dell’antico Ospedale dei Pellegrini del Cinquecento è un fabbricato eretto ex novo nel 1930?