Storia della Pesca nel Mediterraneo – Marinerie adriatiche

 

 

Gli studi sulla marineria

In questo primo spazio introduttivo appare opportuno anche tracciare un quadro storiografico sul tema, quello delle comunità marinare del medio Adriatico e più in generale dell’evoluzione della pesca nel Mediterraneo nei secoli dell’età moderna, che ha trovato nella penna della scrivente il primo apporto per certi versi pionieristico riguardo all’individuazione e all’analisi delle fonti archivistiche, con l’introduzione di un’inedita metodologia di ricerca, che hanno permesso di interpretare e riconoscere nei caratteri e nelle tradizioni popolari il loro contenuto storico. Lo studio, approfondito nel corso degli anni, ha trovato i principali punti di osservazione nella marineria di Cattolica che, indagata nell’arco temporale che va dal Cinque al Novecento, si è rivelata una realtà ‘campione’, per dimostrare l’importanza dell’indagine sui ‘microcosmi marittimi’ e più in generale della storia locale, per una corretta e più consapevole lettura della storia delle attività alieutiche nel Mediterraneo. Il debutto, con la prima pubblica comunicazione, solo parzialmente dedicata a tematiche di carattere marittimo, si avvia con gli incontri sotto il titolo Natura e cultura nella valle del Conca. Conversazioni di storia naturale e umana, organizzati dalla Biblioteca comunale di Cattolica presso la sala convegni dell’Azienda autonoma di soggiorno di Cattolica tra l’inverno 1978 e la primavera 1979. Negli atti che raccoglievano le relazioni di tutti i partecipanti, pubblicati tre anni più tardi, confluiva l’articolo improntato ad evidenziare nel corso dell’età moderna le trasformazioni strutturali dell’identità locale con il graduale passaggio, fra Cinque e Settecento, da un’economia della strada, incardinata sulle attività lavorative tipiche di un centro viario (osti, locandieri, vetturini, ecc.), ad un’economia del mare, sempre più orientata nel rafforzamento dell’esercizio di pratiche piscatorie tecnologicamente più organizzate. Un cambiamento significativo, quello documentabile per il piccolo villaggio costiero, indicato già nel titolo del saggio in questione (da “contrade di taverne” a “borgo marinaro”), motivato dallo sviluppo costante di una società marinara che per il Novecento riuscirà a classificarsi fra le principali realtà pescherecce nel panorama adriatico e italiano. La traccia storica di questa nuova identità economica, impersonata da pescatori e pescivendoli calati nel ruolo di microimprenditori proiettati ad ottenere dalle autorità già nel Settecento la costruzione di un porto/rifugio, era riassunta nel paragrafo “Origini della questione del porto; relazioni e progetti”, compilato sulla scorta di atti amministrativi della comunità di Rimini (consigli, informazioni, sanità, acta portus ecc.), ma anche grazie all’apporto della fonte notarile, fino ad allora poco esplorata e considerata difficile, che si è rivelata però particolarmente preziosa. Nel panorama della storiografia marittima, in particolare riguardo agli studi sulla pesca e sul piccolo cabotaggio, la novità maggiore era comunque rappresentata dagli esiti della ricerca archivistica in merito alla prima comparsa delle principali imbarcazioni delle marineria tradizionale, tartana e trabaccolo fra Cinque e Seicento, un’epoca che avvia nel Mediterraneo profonde trasformazioni nell’attività alieutica che porteranno al perfezionamento di tecniche di navigazione e di cattura in acque alturiere, funzionali alla diffusione della pesca a strascico. Di pari passo si aprivano anche altri importanti squarci sul fronte della produzione ittica: la costruzione di appositi contenitori ipogei (ghiacciaie, neviere, conserve) per la sistemazione del pesce appena sbarcato al fine di potenziare il commercio del pesce fresco; lo stoccaggio e la rete logistica della distribuzione; nuove politiche di investimento nel settore; l’organizzazione dell’arte. Alla conversazione del febbraio 1979 era seguito l’invito del prof. Werther Angelini a partecipare alla giornata di studi organizzata dalla Deputazione di storia patria per le Marche (15 novembre 1980), celebrativa del 90° dalla fondazione. Il contributo confluito negli “Atti e memorie” (85, 1980) dal titolo Ricerche sulle tecniche piscatorie fra Marche e Romagna nei secoli XVII e XVIII, offriva alcune riflessioni su un breve tratto del litorale marchigiano-romagnolo puntando l’attenzione sul diritto di pesca nel Cinquecento, sulle tipologie di pesca costiera (tratte, spontali, pesca delle poverazze) e a strascico in altura (tartana); sulle imbarcazioni in uso tra Sei e Settecento (tartane, trabaccoli, bragozzi); sull’introduzione della pesca in coppia (coccia) nel secondo Settecento; sull’analisi delle fasi operative nell’esercizio della pesca a pèlago attraverso lo spoglio di documenti di considerevole interesse quali i costituti sanitari. In questo studio, per la prima volta le tecniche piscatorie esercitate dalla marineria tradizionale trovavano collocazione storica in un lasso di temporale utile a definirne le origini, meglio definite poi in altri saggi, dati alle stampe negli anni ’90 in virtù di più circostanziati approfondimenti dell’indagine archivistica, allargata peraltro anche ad altri contesti mediterranei. Prima di queste pubblicazioni, le conoscenze sull’argomento si limitavano al recupero del patrimonio conoscitivo del marinaio-pescatore, nella convinzione di un uso inveterato dei sistemi tradizionali di pesca in Adriatico con mezzi a propulsione remo velica, acquisiti ab immemorabili. Non si supponeva insomma di poter individuare l’area e il periodo storico della comparsa della pesca a strascico di media distanza e d’altura, né tantomeno di giustificarne l’introduzione e graduale inarrestabile diffusione nel Mediterraneo ed in particolare in Adriatico, con tutte le conseguenti modifiche strutturali nel settore. In quegli anni erano fondamentalmente due i testi di riferimento per chi si interessava della materia: Le barche romagnole linee di una ricerca (Faenza 1975) di Augusto Graffagnini; Archeologia e tradizione navale tra la Romagna e il Po (Ravenna 1978) di Marco Bonino. Con questi autori si sarebbe di lì a poco intrecciata da parte di chi scrive un rapporto di conoscenza e di collaborazione concretizzatosi poi in un incontro tra studiosi e gruppi di ricerca marchigiani e romagnoli sul tema “Pesca e piccolo cabotaggio” organizzato a Senigallia. Si dava notizia di questa riunione operativa, avvenuta il 10 maggio 1980 presso l’Azienda autonoma di soggiorno di Senigallia, nel fascicolo n. 5 (1980) della Rivista “Proposte e ricerche”, più precisamente nella rubrica riservata alle “Attività della Sezione”. Fra i presenti figuravano il team marchigiano di ricercatori sulla storia della pesca e del piccolo cabotaggio facenti parte del comitato di redazione della rivista, “quello interessato allo stesso tema per l’area romagnola facente riferimento all’Azienda di soggiorno di Cesenatico e due studiosi di Cattolica”. I partecipanti rispondevano ai nomi seguenti: “G. Olivetti (Senigallia), B. Ballerin (Cesenatico), E. Sori (Ancona), M. Dean (Milano), M. Bonino (Ravenna), S. Anselmi (Senigallia), L. De Nicolò (Cattolica), G. Troli (San Benedetto del Tronto), O. Pongetti (Senigallia), A. Filippini (Cattolica), S. Gaiolini (Senigallia), G. Maroni (San Benedetto del Tronto), M. Zani (Cesenatico), S. Ricca Rosellini (Fortì), A. Graffagnini (Bologna)”. Dopo la prolusione del prof. Sergio Anselmi la discussione si era orientata sulla possibilità di attivare un comune lavoro di ricerca per l’area adriatica, caldeggiato dagli interventi di Marco Bonino e Bruno Ballerin, allora presidente del’Azienda di soggiorno di Cesenatico, con la proposta di costituire “Centri locali di documentazione, situati in località strategicamente scelte, coordinati tra loro”. Sergio Anselmi suggeriva Cesenatico quale “punto di riferimento preciso, anche per quanto attiene alla classificazione del materiale e alla bibliografia specifica”. Nel dibattito emergeva l’urgenza di organizzare un Convegno internazionale adriatico focalizzato appunto sul tema ‘pesca e marineria minore’, con la partecipazione di studiosi italiani, iugoslavi, albanesi, greci austriaci, in una cittadina marchigiana, preceduto da “seminari preparatori” a San Benedetto del Tronto e in una località della costa romagnola. Previo reperimento delle necessarie risorse finanziarie, si lanciava anche l’idea di una mostra fotografica su Pesca e cabotaggio minore in Adriatico da allestire a breve a Senigallia, con materiali forniti anche da Cesenatico e San Benedetto del Tronto, che avrebbe dato il via alla prima fase di collaborazione fra tutti gli studiosi invitati alla riunione preparatoria. Successivamente era stato attivato un gruppo di ricerca specificamente marchigiano con il compito di affrontare, sotto la direzione di Ercole Sori, docente di storia economica, la “Storia della pesca e del piccolo cabotaggio della Marche”. Ne facevano parte inizialmente Renato Novelli, Gino Troli e Gianni Maroni (“Proposte e Ricerche”, 6, 1981) e si dava notizia della sua entrata in azione nel fascicolo 8 (1982). Nella relazione Sori, datata 20 febbraio 1982, con allegato un elenco di testi già pubblicati e di altri in avanzata fase di definizione, si palesava la volontà di programmare una giornata di studi e di pubblicarne gli atti. Nel fascicolo 9 (1982) si preannunciava ai lettori l’uscita del secondo quaderno semestrale (11, 1983), “centrato su pesca e piccolo cabotaggio lungo la costa marchigiana”. Nel frattempo erano stati allacciati rapporti tra i comitati di redazione delle riviste “Proposte e ricerche” e “Romagna arte e storia”, concordi nell’idea di pubblicare in simultanea fascicoli monografici, opportunamente reclamizzati con l’uscita di quello romagnolo dal titolo Studi sulla marineria (9, 1983). A proposito di quel mirato programma editoriale applicato alla marineria di Romagna e Marche si scriveva:

i due fascicoli rispondono ad un discorso ideativo comune e propongono complessivamente una riflessione sull’intero tratto di costa che va dalle foci del Po a San Benedetto del Tronto (con l’eccezione di Ancona, cui è da riconoscere unità di carattere storico-antropologico e se questo non emerge chiaramente, è dovuto in buona parte allo stato ancora frammentario delle ricerche sulla marineria al quale non potendo supplire con discorsi complessivi, abbiamo inteso dare almeno un contributo bibliografico generale, affidando a Marco Bonino il compito di predisporre una bibliografia che appaia in entrambe le riviste.

All’unisono con l’uscita di questo numero avveniva l’inaugurazione nel canale di Cesenatico della sezione galleggiante del Museo della Marineria, “un punto di riferimento essenziale per lo studio della marineria romagnola” - si sottolineava -, risultato del convegno organizzato dall’Azienda di soggiorno nel 1977. Il comitato direttivo di “Proposte e ricerche” annunciava invece l’uscita, con qualche mese di ritardo, del numero monografico 11/1983, dove avrebbe dovuto trovare spazio “l’esperienza di storia orale in una società di veloci trasformazioni quale quella costiera, in aggiunta a interviste con i pescatori, racconti di vita e ricostruzioni prosopografiche”, oltre ad altre rilevanti trattazioni. Si anticipavano gli argomenti: vicende del porto di Senigallia1; considerazioni sulla cartografia informale dei pescatori sambenedettesi2; la pesca oceanica; contributi sulla cantieristica pesarese3, sulle attrezzature della navigazione e della pesca a Civitanova4 e sulla fase di transizione dalla vela al motore. Come ulteriore arricchimento si prospettavano anche “un interessante apparato iconografico atto a valorizzare il ricco patrimonio fotografico di tutti i centri costieri delle Marche” e alcune note sulle case dei pescatori nei centri costieri delle Marche meridionali. Lo schema editoriale di “Proposte e ricerche” rimane però allo stato di progetto e se ne dà ragguaglio ai lettori della rivista (11-12, 1983-1984) con i motivi che avevano spinto la redazione a “soprassedere”, o meglio a rinviare il proposito di quella monografia, per l’ “inadeguatezza e ripetitività di vari testi presentati”, con l’auspicio “che il materiale inviato possa essere rivisto e sistemato anche sotto il profilo storico”, visto “il taglio quasi esclusivamente antropologico” espresso nei contributi pervenuti. Si rimarcava:

la storia della pesca, del piccolo cabotaggio e della cantieristica minore presenta qualche difficoltà di scrittura, a cominciare dalla relativa difficoltà a consultare, ove disponibili, fonti remote (atti notarili, statuti e riformante, libri dei porti, ecc.), mentre gran parte di quelle recenti è scomparsa con la dispersione degli archivi delle Capitanerie, anche se non mancano, ad esempio, documenti sulla consistenza delle varie flottiglie (archivi comunali), dati censuari sul traffico commerciale anche minore, materiali sette-ottocenteschi sullo stato dei porto e degli approdi di canale, fiume e spiaggia, composizione delle famiglie dei pescatori, libri di bordo dei trabaccoli ecc.

Nel 1990 Sergio Anselmi lamentava che “la pesca è stata poco studiata sotto il profilo storico-economico, ha avuto qualche successo nell’ambito dell’antropologia”5 e già in precedenza, in un importante articolo intorno alle argomenti in questione relativamente all’Adriatico centrale, nel tentativo di fissare una scansione temporale in cui collocare l’ “orientamento filosofico” e il “taglio critico” della storiografia marittima, aveva riconosciuto al periodo 1977-1984, appena ricordato nella memoria qui sopra delineata, una valenza ancora troppo influenzata dalla antropologia, Anselmi infatti indicava negli studi in essere due tendenze principali in atto:

una, sempre più antropologizzante (cultura delle popolazioni marinare, ambienti, nomi, omogeneità – disomogeneità, alimentazione, tecniche piscatorie ecc.) sul modello delle proposte formulate dalla trimestrale “Le Chasse-Marée”, che ha prodotto la bella ricerca di Mario Marzari su Il bragozzo adriatico, il volumetto di un gruppo sanbenedettese anconitano su La costa nel Piceno: ambiente, uomini, lavoro6 e, soprattutto, la costituzione del “Museo della Pesca” di Cesenatico, che organizzò nel 1977 il convegno su La marineria romagnola, l’uomo, l’ambiente, dal quale è nato il volume omonimo … ; una, più propriamente tecnico marittima, sui porti emiliano-marchigiani dello Stato pontificio, sul rapporto terra-mare nei trasporti su barche, tariffe, rotte, equipaggi, prestiti …7

Indubbiamente nei sette anni considerati Anselmi, i dibattiti in atto avevano creato proficui stimoli anche per ricerche individuali. L’indagine storico-archivistica rimaneva ancora decisamente relegata ai margini, rispetto alla ricerca demo-antropologica, alla cultura materiale e alla storia orale. Contestualmente ai prodotti editoriali a cui si è fatto cenno, al di fuori delle strategie di ricerca dei team operativi delle riviste marchigiana e romagnola, considerando la messe di informazioni sulla comunità di pescatori insediata sul tratto litoraneo al confine fra Romagna e Marche restituita da mirati sondaggi archivistici per i secoli dell’età moderna, la scrivente prendeva contatti con l’assessore alla cultura del comune di Cattolica, Oscar Micucci, per verificare la possibilità di organizzare e realizzare una mostra sull’identità marinara del luogo, al fine di mostrare e commentare documentazione fino ad allora inedita riguardante progetti e relazioni del Sette e Ottocento per la costruzione dell’asilo marittimo con la trasformazione dell’insenatura naturale in un vero porto, ma anche altri elementi significativi e caratterizzanti della società marinara, rappresentata tra l’altro anche nel censimento dei blasoni popolari, cioè i simboli delle vele connotativi di una variopinta araldica familiare, e dalla ricostruzione di dinastie di mestiere (naviganti, pescatori, calafati, cordai ecc.). Nell’allestimento un ruolo centrale per l’aspetto visivo e iconografico era rappresentato dalle immagini fotografiche recuperate presso le famiglie di antica tradizione marinara che restituivano aspetti della quotidianità e del lavoro fra Otto e Novecento, dalla ricostruzione di tavole esplicative della vita socio economica della comunità, dagli strumenti di lavoro al fine di illustrare i vari mestieri della gente del porto. L’intento era quello di ripetere quanto già positivamente collaudato per una precedente mostra, sempre a cura della scrivente sulla nascita e sviluppo della villeggiatura marina, per la quale erano state coinvolte le famiglie e i discendenti dei villeggianti d’inizio secolo facenti parte della cosiddetta colonia bagnante, attraverso un fitto carteggio al fine di ottenere la impossibilità di riprodurre dai loro album fotografici familiari le più rappresentative immagini che ritraevano la spiaggia di Cattolica durante la “stagione dei bagni”. Nel progetto documentario sul porto, alle cartoline postali d’epoca che, pur conservando una innegabile e irrinunciabile valenza storica, presentavano immagini in un certo senso stereotipate (il porto canale, le barche ormeggiate, al rientro o in partenza per le battute di pesca), venivano preferiti gli scatti fotografici originali e personalizzati, capaci di trasferire, oltre ad una maggiore carica emozionale, anche la lettura, per il visitatore, dell’antico e forse perduto senso della comunità. La condivisione dell’idea da parte dell’assessore Micucci portava così all’allestimento della mostra intitolata Il porto e la marineria di Cattolica tra Settecento e primo Novecento. Progetti, immagini, documenti, a cura di M.L. De Nicolò, ospitata nella Galleria comunale Santa Croce dal 16 gennaio al 21 febbraio 1982. Oltre alla riproduzione di inediti disegni acquerellati opera di idrostatici e ingegneri del Sette-Ottocento, restituiti dalla ricerca d’archivio, integrati da relazioni tecniche e computi estimativi delle opere portuali, i pannelli espositivi contenevano il censimento delle imbarcazioni prima della motorizzazione e delle simbologie dipinte sulle vele scaturito dalla indispensabile collaborazione di anziani marinai che avevano già dato il loro apporto per una precedente, antesignana Mostra di disegni di bragozzi cattolichini a documentazione dell’epoca marinaresca della pesca e navigazione a vela. Dal … al 1927-1928, ospitata nella prima metà degli anni settanta del secolo scorso nelle sale dell’Azienda autonoma di soggiorno di Cattolica e promossa da un comitato dell’Associazione Albergatori F.A.I.A.T. di Cattolica, coordinato da Mario Prioli. L’araldica delle vele, nell’esposizione del 1982, era stata rivisitata ed integrata grazie al contributo di Sebastiano Vanni, erede di una antica dinastia di pescatori (vd. p. 00) e autore tra l’altro di acquerelli raffiguranti le antiche barche a vela, i tradizionali sistemi di pesca e il piccolo cabotaggio. Nel percorso espositivo erano inseriti inoltre gli elenchi delle imbarcazioni censite in varie epoche storiche (1792, 1815, 1855, 1882), con indicazione dell’armatore e/o principale caratista, tonnellaggio, nome del legno. Si proponevano poi i memoriali manoscritti e le suppliche dei pescatori per la costruzione del porto rifugio; la composizione degli equipaggi delle principali barche pescherecce con i nominativi di paroni, marinai-pescatori, moré, nell’anno 1778; schizzi, disegni preparatori, rappresentazioni figurative a carattere marinaro del pittore Emilio Filippini (1870-1938); modelli di imbarcazioni storiche realizzati da anziani pescatori (Dino ‘d Pirol, al Bògule, Boschi); l’albero genealogico di una storica famiglia di pescatori, Ercoles, a partire dal Cinquecento trasportato in acquerello da Cinzia Pagliari; opuscoli a stampa che documentavano le istanze della marineria alle autorità competenti per la costruzione prima (1850) e la manutenzione poi (1881-1894) del porto canale. La pubblicazione, nel 1980, di un volume intitolato Viaggi fotografici di Giuseppe Michelini (1873-1951) 8contenente anche immagini riguardanti la spiaggia e il porto di Cattolica, aveva restituito interessanti scene di vita quotidiana immesse poi nel contesto della mostra con più opportune didascalie: l’avventuroso e difficile rientro in porto di un peschereccio; il ritratto di due vecchi lupi di mare ripresi in un momento di riposo, seduti sulla palizzata del porto; scene di pesca con la tratta lungo la riva del mare; il logorante lavoro dei sassajoli intenti ad estrarre pietre dal fondale marino nel tratto di mare antistante la spiaggia di Gabicce. Durante la mostra gli anziani marinai richiamati a visitarla per poter raccogliere interviste, sollecitare loro commenti sul materiale esposto per eventuali correzioni da apportare nelle schede informative, avevano, fra l’altro, rilasciato importanti considerazioni sui soggetti ritratti nelle immagini fotografiche del Michelini. Era stato riconosciuto e identificato l’emblema distintivo della vela dei Bragagna/Furnarén con l’indicazione anche dei colori, dando modo di modificare nella spiegazione didascalica dell’azione fissata dall’obiettivo (“lancia della gòmena”), ripresa direttamente dal volume già citato, con “lancio dello scandaglio”, che più opportunamente precisava l’intervento di soccorso verso l’imbarcazione in difficoltà nell’accesso al canale a causa del mare agitato, effettuata dal custode del porto (palataro), da identificarsi verosimilmente con Sante Berti detto Capòn. I familiari dell’anziano pescatore ritratto sulla palata che indossava il tipico copricapo e gli zoccoli di legno avevano riconosciuto il loro avo (Berardo Torriani, cl. 1824), essendo anch’essi in possesso della stessa fotografia, debitamente ingrandita e incorniciata. Altri ritratti fotografici di marinai degli inizi del Novecento consentivano di riconoscere anche Giovanni Ercoles (1830-1908) e Sante Mariotti (cl. 1844). L’iniziativa del 1982, nonostante la breve durata, è da ritenersi una mostra assai “partecipata” e culturalmente di significativo impatto. Se da un lato per la scrivente e altri studiosi si è manifestata un’esperienza utile ad implementare le conoscenze attingendo competenti precisazioni dai pescatori-visitatori anziani sollecitati all’osservazione attenta dei gesti, paesaggi e figure fissati dall’obiettivo del fotografo in un’epoca lontana e a dare un loro giudizio sulle note didascaliche abbozzate, dall’altro si è rivelata un’occasione per la gente del luogo, in primis i pescatori, per riscoprire la più antica identità marinara della propria comunità e per rinnovare la memoria di passate esperienze e tradizioni. Per quella mostra erano state avviate anche le prime ricerche sull’opera di un pittore di origine romana, Umberto Coromaldi (1870-1948), villeggiante a Cattolica fin dagli anni ‘90 dell’Ottocento, che aveva dipinto marine, pescatori, scene animate dalla gente del porto. Nella rivista “Emporium” (XLVII, 1918), su indicazione degli eredi opportunamente rintracciati, erano stati rintracciati i bozzetti che ritraevano in scene di lavoro due pescatori, uno dei quali era stato riconosciuto da alcuni visitatori essere Luigi Cecconi/Falcièn.9 L’orditura principale della mostra del 1982 ruotava attorno alla storia del porto, ma al contempo si evidenziavano anche vari aspetti della comunità dei pescatori, fra cui quello della religiosità popolare espressa anche nei nomi assegnati alle barche documentati nell’arco del secolo XIX. In embrione insomma erano gettate le basi per gli studi e approfondimenti pubblicati negli anni a seguire in varie sedi. Rimaneva ancora poco utilizzata la storia orale, limitata a poche testimonianze raccolte da chi scrive nel 1975 con la registrazione di interviste rilasciate da Salvatore Galluzzi, in merito ai primordi del sindacalismo peschereccio e da Elvino De Nicolò per gli aspetti riguardanti la commercializzazione del prodotto ittico. Per l’allestimento della mostra era stata fondamentale la collaborazione di Sebastiano Vanni, rivelatasi poi anche in seguito indispensabile a superare alcune difficoltà di interpretazione del patrimonio lessicale proprio dei pescatori. Della mostra appena descritta nei suoi caratteri essenziali non resta che una labile traccia in un pieghevole e nel manifesto che la pubblicizzava10. Dieci anni più tardi buona parte dei materiali cartacei esposti confluirà nel volume La strada e il mare (1993). Nell’appendice documentaria, alle relazioni tecniche e ai progetti redatti per la formazione del porto canale resi noti in anteprima nella mostra dell’1982, compaiono anche i regesti di oltre 200 atti notarili (dal 1445 al 1926) riguardanti pescatori, pescivendoli, calafati, armatori, frutto della ricerca partita dallo spoglio archivistico del fondo notarile di San Giovanni in Marignano negli anni ’7011. Tra il 1982 e il 1985, il clima culturale creatosi attorno agli aspetti demo antropologici, all’archeologia navale, alla cultura materiale, alla storia orale attinente alla pesca e alla navigazione, portava all’organizzazione di una seconda, più ambiziosa mostra, Barche e gente dell’Adriatico 1400-1900 (Cattolica, Centro Culturale Polivalente, 4 maggio-14 luglio 1985), prodotta dall’Assessorato alla cultura del comune di Cattolica in collaborazione con l’Istituto per i beni culturali della Regione Emilia-Romagna. Una pubblicazione con omonimo titolo, curata da Umberto Spadoni, appaiata all’evento, non costituiva un vero e proprio catalogo dei materiali esposti, surrogato invece in una guida breve con il seguente preambolo introduttivo:

Mostra e libro, per quanto affini, dato il tema trattato, non sono per nulla identici e speculari l’una all’altro: Michele Provinciali, progettista e art-director dell’iniziativa editoriale ed espositiva ha lavorato sulla suggestione dei materiali, sugli accostamenti poetici, cercando crediamo con successo di fondare una filologia non asettica. Il libro per altro non privo di fascinazione estetica, raccoglie i contributi scientifici che, nel loro insieme, possono costituire un punto di riferimento o una utile base di partenza per ogni ulteriore ricerca interessata alla storia dell’arte navale nella nostra costa e dei saperi e dei comportamenti ad essa intrecciati.

Del team di esperti chiamati a collaborare alla duplice iniziativa (mostra e libro) facevano parte anche Washington Patrignani e Sergio Marzocchi, docente di Sociologia all’Università di Urbino, che, sull’onda della mostra del 1982 avevano allacciato contatti con la scrivente perché interessati l’uno all’apporto della fonte archivistica in merito al trabaccolo, l’imbarcazione tradizionale su cui aveva in cantiere una pubblicazione, l’altro al censimento delle vele di Cattolica12, come ulteriore arricchimento documentario per una monografia sull’araldica piscatoria sfociata di lì a poco nel volume Colori e simboli sulle vele adriatiche (Urbino 1983). Sergio Marzocchi in questi primi contatti aveva fornito a chi scrive la riproduzione fotostatica di un manoscritto della biblioteca Sabadino di Chioggia molto importante per lo studio delle attività alieutiche sotto il profilo antropologico, dato alle stampe solo nel 1993, a cura di Luigi Divari e Gilberto Penso, dall’editore Sandro Salvagno. L’influenza determinante dell’ambiente culturale della laguna veneta nella formazione delle marinerie di ‘sottovento’ tradita dalle carte d’archivio necessitava più ragguagliati confronti sia sul fronte etno-antropologico, sia attraverso l’analisi del patrimonio lessicale di pescatori e calafati. Specialmente dall’esame dei numerosi contratti di costruzione navale restituiti dalla fonte notarile si evinceva infatti con chiarezza il ruolo centrale di Chioggia e la forte connessione di dipendenza del settore da quelle maestranze, specializzate nel settore ab immemorabili. Il contributo appositamente redatto da chi scrive per il volume collettaneo del 1985 sopra citato, intitolato Note sull’attività cantieristica e portuale a Rimini nel Settecento, poneva l’attenzione su temi cardine: 1. Pesca commercio navigazione; 2. Le fonti; 3. Maestri d’ascia: cultura materiale e aspetti organizzativi dell’arte; 4. Tipi navali e tecniche di pesca; 5. Parcenevoli e pescatori. Ad illustrare l’evoluzione delle arti marittime nell’Adriatico si portava a campione Rimini, la città costiera che lo studio evidenziava, nel Settecento, come il principale porto peschereccio dello Stato pontificio. Documenti di carattere amministrativo permettevano tra l’altro di elaborare una tabella statistica del movimento cantieristico su un lasso di tempo assai significativo (1749-1773), con la segnalazione dei tipi navali vigenti (tartanoni, trabaccoli, barchette), corrispondenti a differenti tipologie di pesca e dunque di produttività. Dai rogiti notarili erano estratte relazioni estremamente importanti sulle imbarcazioni, attraverso la descrizione delle caratteristiche costruttive e dimensionali contenuta in 46 contratti (37 stipulati a Rimini, 9 a Chioggia) sottoscritti da armatori, pescatori e costruttori navali tra il 1679 e il 1798. La fonte notarile aveva consentito di affrontare anche un tema del tutto sconosciuto all’epoca, cioè il finanziamento della pesca ovvero gli strumenti giuridici necessari a legalizzare il rapporto tra prestatori e pescatori (creditum super cymba) argomento approfondito in studi successivi grazie anche al supporto interpretativo suggerito a chi scrive dal prof. Cesare Maria Moschetti. In una nota si dava anche notizia del trasferimento, orchestrato e gestito direttamente dalla camera apostolica, di numerosi pescatori riminesi, chioggiotti e marchigiani che, nell’ambito di una piano economico promosso dal pontefice Benedetto XIV, salpati dal porto romagnolo a bordo di due trabaccoli, si erano spostati nel Tirreno per avviare un potenziamento delle attività alieutiche nella spiaggia romana (1753). Temi, quelli appena citati, fino ad allora del tutto sconosciuti, presi in considerazione per la loro indubbia rilevanza da altri studiosi quasi trent’anni dopo. Sergio Anselmi, nel profilo storico sulla pesca pubblicato nel 1990 cita a più riprese gli studi della scrivente e apprezzamenti si registrano anche da parte di Mario Marzari e Pasqua Izzo che, nella disamina di quanto si pubblicava in quegli anni, soffermandosi sul saggio di Barche e gente dell’Adriatico a firma De Nicolò, arriva a formulare la seguente significativa locuzione in riferimento alla storia della marineria tradizionale, traghettata finalmente “da oggetto del folclore a soggetto di storia”. Marzari, già autore di alcune monografie sui tipi navali adriatici era stato fortemente incuriosito dalla scoperta del ruolo centrale di Chioggia nella formazione delle marinerie di sottovento emerso dalla ricerca archivistica. Proprio per questo, nel 1986 aveva allacciato un carteggio con la scrivente auspicando una più stretta collaborazione di lavoro che si era poi materializzata anche con il coinvolgimento nella fondazione dell’Istituto di Storia e Archeologia Navale. In un grande inserto a doppia pagina nel supplemento della domenica al “Sole 24 ore” del 17 aprile 1994 si dava notizia di quel sodalizio culturale in un grande spazio che accoglieva per i vari ambiti di ricerca sei specifici articoli siglati dai soci fondatori: Mario Marzari, Alvise Chigiato, Ugo Pizzarello, Luigi Fozzati, Marilena Macrina Maffei, Maria Lucia De Nicolò. A quest’ultima si riconosceva la competenza del ritorno informativo recuperabile dallo spoglio delle carte d’archivio. L’innovativo apporto documentario e metodologico lanciato dal saggio del 1985 che tanto appassionava gli studiosi di cultura marinara, era rimasto comunque ignorato negli ambienti accademici e più specificamente dall’autore de La storiografia marittima nello Stato della Chiesa 13che prendeva in considerazione gli scritti pubblicati tra il 1980 e il 2000. Pur sostenendo che il settore della pesca era stato “oggetto di significative ricerche anche relativamente alle altre regioni adriatiche dello Stato ecclesiastico”, l’autore lamentava la mancanza di articolate indagini storiche, rimarcando che “l’interesse degli studiosi si è concentrato quasi esclusivamente sui minuti aspetti di una cultura materiale della pesca, fatta di linguaggi, di tecniche pescatorie, di attrezzature, imbarcazioni, reti e così via”14. Si sottolineava per di più che “l’economia della pesca nelle due costiere pontificie […] era principalmente legata non tanto alla pesca d’altura, per la quale i porti e la marineria dello Stato ecclesiastico non erano sufficientemente attrezzati e che alimentava solo mercati locali, quanto piuttosto il prodotto delle peschiere e delle acque costiere”15, affermazione in parte valida e condivisibile, ma solo se riferita al litorale tirrenico. Nonostante si trovi menzione in quella bibliografia del volume Barche e gente dell’adriatico, l’autore risulta ignorarne l’unico saggio basato sull’indagine storico-archivistica, quella cioè che colma appunto non solo la mancanza storica lamentata nelle sue disquisizioni, ma ribalta la posizione marginale assegnata all’Adriatico, che acquisisce in pieno la sua centralità nei secoli dell’età moderna, basti pensare allo straordinario sviluppo del settore. La pesca a strascico d’altura aveva trovato diffusione proprio dalle coste adriatiche pontificie tra Sei e Settecento, come peraltro già dimostrato in diverse pubblicazioni, taciute però dalla Storiografica marittima in questione. Una svista di non poco conto, dal momento che proprio le tecniche piscatorie unite alle tecniche di navigazione avevano rappresentato una sorta di volano per la modifica strutturale del settore produttivo legato alla pesca in età moderna, decretando la nascita e lo sviluppo della marineria peschereccia d’altura che ha così fortemente caratterizzato i centri costieri di Romagna e Marche anche in età contemporanea. Dunque lo studio dei sistemi di pesca è entrato a pieno diritto nell’ambito storico economico, mentre prima degli studi sopracitati, tutti siglati da chi scrive, si confinava questo genere di analisi esclusivamente all’ambito etnoantropologico tramandato dalla cultura orale. Se è vero, come scrive l’antropologa Agliette Geistdoerfer che “le tecniche di pesca costituiscono l’insieme tecnico che comprende un’imbarcazione, luogo e strumento di lavoro, attrezzi da pesca, un gruppo professionale e una pratica”, è anche vero che l’analisi dei territori di pesca e i tempi di lavoro di ogni singola unità applicate all’attività costiera, alla media distanza o piuttosto all’altura, consente di documentare l’incremento della produzione ittica e contemporaneamente di verificare l’impatto economico e al contempo di individuare i relativi processi innescati nelle forme di investimento finanziario nel settore, nel reclutamento di manodopera specializzata (di qui il fenomeno delle migrazioni di lavoro) e nella organizzazione della rete distributiva conseguente ad una produzione vieppiù crescente. Lo studio delle tecniche piscatorie tradizionali può dunque fornire importanti elementi anche per riconoscere nel corso del tempo le modifiche strutturali del mestiere, dell’economia e della composizione sociale. Quest’ambito di ricerca insomma, che ha permesso di scoprire e datare l’introduzione di particolari e innovativi sistemi di pesca (ovvio il riferimento alla pesca a strascico d’altura) ha aperto larghi squarci all’analisi degli epocali processi di trasformazione, mutazione e sviluppo delle marinerie da pesca in età moderna. La conseguente offerta di maggiore occupazione ha poi consentito di arginare quella pressione demografica che l’agricoltura non era più in grado di assorbire. Il fenomeno è particolarmente rilevante nel Settecento, in cui ben si evidenzia il forte incremento delle unità da pesca del litorale adriatico pontificio tra 1715 e la fine del secolo. Per rispondere poi a quanti ancora si ostinavano a ritenere improbabile la possibilità di reperire fonti per un’indagine storica sulla storia della pesca nel Mediterraneo per tempi remoti, si dava corpo a due contributi elaborati per la rivista “Pesaro città e contà” proponendo una ricerca a ritroso al fine di documentare l’attività alieutica tra basso medioevo (Attività marittime a Pesaro nel Quattrocento: barche traffici pesca, 1, 1991) e prima età moderna quando la pesca a tartana, di matrice provenzale, veniva introdotta nei principali porti marchigiani (Ancona, Pesaro) e si diffondeva rapidamente tra i pescatori dell’Adriatico, modificando profondamente antichi usi e abitudini dei gruppi professionali fino ad allora concentrati in spazi acquei delimitati (lagune, peschiere, mari territoriali) per di più dipendenti dalla stagionalità di alcune tipologie di pesca e pertanto costretti ad impegnarsi anche nei lavori agricoli (attività plurima) (Dal bragozzo alla tartana, una rivoluzione piscatoria a Pesaro in età ducale, 2, 1992). Prendeva ulteriore conferma la periodizzazione alla prima età moderna dei sistemi a strascico d’altura da parte di marinerie finalmente organizzate in una nuova economia di produzione. La frequentazione delle acque d’altura in antico si limitava alla pesca con gli ami detta appunto a pelago, ma, come mostrano gli statuti comunali di Ancona e dei centri costieri e paracostieri adriatici, si trattava di un metodo commercialmente poco redditizio, destinato quasi esclusivamente all’approvvigionamento alimentare di mercati locali con la cattura del cosiddetto pesce “bestiale” o “selvatico” (come si legge negli statuti di Recanati), ovvero razze (tomacci, mucose), palombi ecc., classificati nella normativa statutaria come pisces pelagenses. Tra la fine degli anni ottanta e primi anni novanta del secolo scorso, gli studi e le ricerche archivistiche sull’attività alieutica ricevevano un forte impulso nelle Marche meridionali grazie all’impegno di Ugo Marinangeli e di Gabriele Cavezzi. A partire dal saggio di Marinangeli, San Benedetto del Tronto da borgo marinaro a centro peschereccio di primaria importanza16, erano poste all’attenzione degli studiosi due importanti e circostanziate memorie (Firmana gabellae piscium e Osservazioni di fatto e di ragione sulla proibizione delle paranze a coppia nel mare Adriatico), prodotte dalla comunità di Fermo dinanzi all’autorità superiore a difesa delle acque territoriali e in opposizione al bando proibitivo del 1773 emanato dal tesoriere generale per limitare la pesca a coppia nelle acque adriatiche pontificie. Nel 1991 a San Benedetto veniva fondata la rivista “Cimbas” foriera di nuovi studi e approfondimenti sulle preziose fonti dell’archivio di stato di Fermo. La redazione della rivista nel numero 1 (ottobre 1991) spiegava ai lettori i motivi che avevano spinto il gruppo di ricercatori17 a dar vita al nuovo periodico che si prefiggeva di trattare temi riguardanti le attività marittime nel Piceno e in special modo la pesca. Il nome della rivista traeva spunto dalla memoria fermana intorno alle “cimbas vulgo paranze”18. Ad onor del vero però la scoperta di questo documento va ricondotta alla tesi di laurea di Ennio Panfili, discussa presso la facoltà di Economia e Commercio dell’Università di Perugia nell’a.a. 1965/1966 con il titolo L’industria della pesca nel litorale marchigiano del Settecento con particolare riferimento ai centri di Fermo e di Ancona. Una ricerca pionieristica, ma ancora valida, quella di Panfili, per la disamina delle fonti archivistiche fermane fino a quel momento sconosciute, che diventeranno poi un punto di forza nelle più recenti pubblicazioni degli studiosi piceni19 e per il monitoraggio sul principale porto delle Marche, Ancona, preso in esame, quegli stessi anni, nei saggi sulla storia della pesca di Werther Angelini confluiti nei “Quaderni della Marche”. Il volume Marineria Risorta, dato alle stampe nel 2016 ripropone una storia della comunità dei pescatori di Cattolica però, soprattutto, alla luce di fonti alternative rispetto a quelle già utilizzate. Gli studi precedentemente pubblicati, rivisitati alla luce di nuovi apporti documentari ed accorpati nella sezione Economia del mare all’interno del volume Cattolica (2012), compongono la struttura portante della storia plurisecolare che segna i caratteri dell’identità marinara, mentre in questa nuova monografia vengono richiamati gli aspetti di un passato riferito agli ultimi due secoli che, attraverso atti giudiziari, l’analisi di alcune espressioni vernacolari strettamente legate all’attività alieutica, memorie scritte e orali, corroborate sotto l’aspetto visivo dal recupero di opere pittoriche coeve, dimostrano il perdurare delle consuetudini e tradizioni di un mondo culturale antico, che si è mantenuto fino ai primi decenni del Novecento. La seconda parte del volume offre invece il corposo repertorio di fonti e regesti che giustifica l’importanza di questa microanalisi su una comunità a campione, quella di Cattolica appunto, a dimostrazione delle potenzialità della fonte archivistica e della metodologia di ricerca avviata da chi scrive negli anni settanta, ritenuta da molti impraticabile e sterile, ma rivelatasi poi nel tempo, alla luce dei risultati, irrinunciabile e insostituibile per conoscere l’evoluzione storica delle comunità costiere del Mediterraneo.