Dopo la tesi di laurea, impostata su una impegnativa ricerca condotta fra il 1974-1976 con il recupero di documentazione archivistica inedita relativa al secolo XVIII (Economia e società a Cattolica nel Settecento), si era fatto strada nella scrivente il proposito di dar corpo ad una esercitazione storica che uscisse dagli schemi degli studi locali disponibili a quel tempo (Aroldo Reciputi, Storia di Cattolica, 1958), prendendo spunto piuttosto dalle storie seicentesche di Rimini e territorio (Raffaele Adimari, Cesare Clementini) e dalla poderosa opera ottocentesca (Della storia sacra e civile di Rimini) di Luigi e Carlo Tonini. Dopo la positiva sperimentazione dell’archivio per la tesi di laurea insomma, l’intenzione era quella di allargare e approfondire lo scavo archivistico per tentare una ricostruzione non solo dei rapporti politico-amministrativi di Cattolica con Rimini, la città dominante, ma anche per far luce sui caratteri dell’originaria identità locale, imperniata sull’economia della strada con specifiche attività lavorative (osti, locandieri, vetturini, mestieri ausiliari quali maniscalchi, sellai, stallieri, ecc.). Di qui l’avvio dello spoglio sistematico dei protocolli notarili di San Giovanni in Marignano dei secoli XVI-XVIII. Dall’analisi dei documenti, era emerso fin da subito, nell’evoluzione dell’insediamento, anche il ruolo ricoperto dalle istituzioni ecclesiastiche e il Cinquecento si rivelava su più fronti un’epoca straordinariamente fruttuosa, una sorta di “cerniera” storica fra medioevo ed età moderna. È in questo secolo che si accerta infatti la definitiva scomparsa (e/o marginalizzazione) degli antichi centri demici altomedievali e finalmente, grazie a questi studi, si riesce a dare risposta a questioni fino a quel momento rimaste irrisolte quale, in primis, l’esatta ubicazione topografica di castello e pieve di Conca. La consapevolezza di un innovativo apporto alla conoscenza delle vicende storiche emerse dai fondi archivistici, periferici e centrali, unita, sorretto anche dal vaglio e dalle parole di incoraggiamento a proseguire in questo studio da parte di importanti esponenti della cultura di quegli anni, quali i proff. Augusto Campana, Gina Fasoli, Lucio Gambi, nonostante la difficoltà a reperire un sostegno per la stampa sia da enti pubblici e privati che da editori, si arriva così alla decisione di affrontare l’impresa con l’autofinanziamento de La Cattolica del Cinquecento, opera scritta nel 1978, uscita per i tipi di Argalìa (Urbino) nell’aprile 1979. Nella prefazione, siglata dal prof. Werther Angelini, il libro viene presentato a suo dire “come un dono pasquale ai Cattolichini, i quali forse attendono una più modesta proposta di lettura non immaginando di trovarsi soltanto al primo tempo di un piano rigorosamente meditato in cui si scandirà in fasi successive l’inoltrata indagine”. L’intento sarebbe stato di proseguire con l’aggiunta di ulteriori volumi in continuazione: si segnalava infatti come primo tomo di una serie intitolata Appunti e ricerche per una storia di Cattolica
Si pone così nel 1979 la base di un impianto storiografico che troverà poi seguito, alla luce di ulteriori ricerche, nonché di importanti ritrovamenti archeologici, in una serie di saggi e articoli di approfondimento delle tematiche iniziali (1979-1992), che verranno sistematizzati nel volume La strada e il mare (1993), cui farà seguito Cattolica di Romagna. Nascita di un comune (1996) e più recentemente, con l’arricchimento di un variegato corredo iconografico, nel volume Storia per luoghi, I, Cattolica, 2014), vedi infra.
Indice degli argomenti trattati:
I. La Cattolica del ‘500.
Ordinamenti politico amministrativi
Lo sviluppo del borgo fra XV e XVII secolo
II. San Giorgio in Conca, una pieve dimenticata.
III. L’industria alberghiera
Le insegne degli alberghi
IV. L’Ospedale dei Pellegrini
La chiesa di Santa Croce
V. Le fortificazioni
Cenni sulle fortificazioni medievali
La rocca e il sistema difensivo costiero
La cinta bastionata (1583-1587)
Recensione di Sergio Zavatti in “Archivio storico italiano”, 503, a. CXXXVIII, Firenze, Olschki, 1980, pp. 162-163.
Non si può proprio dire che Cattolica, oggi città balneare nota in tutto il mondo, ma nel Quattro-Cinquecento formata da poche case senza importanza con meno di cento abitanti, abbia goduto le attenzioni degli storici. Sottoposta al contado di Rimini, oggetto di dono da parte dello stato pontificio per ingraziarsi qualche contessa, soffocata da Rimini e da Pesaro che temevano l’eventuale sviluppo di un suo attracco commerciale, la Cattolica, denominazione dall’origine molto incerta, crebbe stentatamente e seguendo quasi una sola direttrice di marcia: poiché era lungo una strada di grande traffico come la Flaminia, i suoi abitanti fondarono molte osterie con alloggio (oggi diremmo “alberghi”) intorno alle quali si costituirono altre attività collaterali, come maniscalchi, sellai, stallieri, ecc. Preceduto da una stimolante presentazione del prof. Werther Angelini dell’Università di Urbino, il volume della De Nicolò comprende cinque densi capitoli. Il primo (pp. 11-34) illustra la Cattolica del ‘500 (molto meno di un borgo perché nelle carte antiche compare semplicemente come un toponimo locale), i suoi ordinamenti amministrativi e il suo sviluppo fra i secc. XV e XVII. L’A. non ha potuto servirsi di lavori precedenti perché inesistenti (gli scritti del Reciputi, del Vanni, del Vasina, del Clementini, dell’Adimari e del Tonini o sono contemporanei, o di Cattolica danno rapidissimi cenni, o sono trattazioni generali della vallata del Conca). Tutto il capitolo, come del resto la maggior parte del volume, è frutto di lunghe e attente ricerche di Archivio. Il più importante di tutti i capitoli è, a mio avviso, il secondo (pp. 35-77) dedicato a San Giorgio in Conca: una pieve dimenticata. A questa pieve si sono interessati in molti, ma quasi esclusivamente per proporre ipotesi che non riuscivano poi a dimostrare. L’A. invece, esaminando attentamente la produzione cartografica esistente e tenendo conto della tradizione orale che ricorda le “grepp d’San Giorg”, ha potuto risolvere dapprima il problema dell’ubicazione della pieve che era, al di fuori di ogni dubbio, sul’odierno Monte Vici, nei pressi di Cattolica. In quanto alle cause dell’abbandono della pieve e quindi della sua decadenza, l’A. le fa risalire, almeno in parte, al riassetto subìto dal territorio riminese nel sec. XIII, quando si formarono i nuovi insediamenti di S. Giovanni in Marignano e di Cattolica stessa. Il terzo capitolo (pp. 79-132) tratta dell’industria alberghiera sorta a Cattolica e delle insegne degli alberghi. Le prime notizie de “La Stella”, per esempio, risalgono al 1471, e fu uno degli alberghi più importanti, perché per vario tempo ospitò anche le poste. L’A., sulla scorta di molti documenti d’Archivio, riesce a ricostruire la storia di questi alberghi, a dirne il numero delle stanze, le caratteristiche ambientali, i nomi dei proprietari, l’inventario della biancheria ecc. ecc. Non tutti gli alberghi appartenevano a privati, ma anche alla Chiesa, come “La Corona” che dipendeva dalla chiesa ravennate. Nel capitolo si illustrano ben 22 alberghi che rappresentano un numero cospicuo per un borgo di poche case e che dimostrano come Cattolica avesse capito qual era l’unica strada da battere per conseguire uno sviluppo che non fosse effimero. Nel capitolo quarto (pp. 133-145) l’A. tratta brevemente dell’Ospedale dei Pellegrini che sorse ad opera della Chiesa, presso il nuovo borgo ormai ricco di alberghi e sempre più frequentato da viaggiatori. L’ultimo capitolo (pp. 147-193) è dedicato alle fortificazioni che dal sec. XIII in poi furono costruite a difesa di Cattolica, notevolmente sviluppatasi a seguito di una consistente immigrazione di genti provenienti dai castelli del pesarese. Ogni capitolo è, molto opportunamente, completato dalla trascrizione di importanti documenti d’Archivio che hanno il preciso scopo di provare le ipotesi avanzate dall’A. Le note rappresentano un dotto corredo del quale il testo non potrebbe fare assolutamente senza. Nella stesura dei due ultimi capitoli l’A. si è servita della collaborazione dell’arch. Attilio Filippini. In una paginetta finale, l’A. informa che sta lavorando a un altro volume che conterrà la storia di Cattolica fra i secc. XVII e XIX: ottima cosa e c’è da augurarsi che l’Amministrazione Comunale della città romagnola lo pubblichi subito.
Note ai commenti sul capitolo dedicato alla pieve di San Giorgio in Conca
(questa sezione verrà aggiornata e a breve si riporteranno per ogni autore i commenti)
1. Augusto Vasina, Centri di potere, organizzazione territoriale e vita sociale dal Medioevo all’età moderna in Natura e cultura nella valle del Conca a cura di P. Meldini, P.G. Pasini, S. Pivato, Rimini 1982, p. 232 in nota.
2. Francesco Vittorio Lombardi, “Crustumium a quo oppidum” (note storiche sul fiume e sul castello di Conca) in Natura e cultura nella valle del Conca, pp. 155-156.
3. Augusto Campana, Epigrafe romana da tomba monumentale della Flaminia nella Rocca di Gradara in La pieve di San Cristoforo ad Aquilam, Atti del convegno di Gradara, ottobre 1980, Pesaro 1983, p. 103.
4. Antonio Carile, Continuità e mutamento nei ceti dirigenti dell’Esarcato fra VII e IX secolo in Istituzioni e società nell’alto medioevo marchigiano, parte prima, Atti e memorie della deputazione di storia patria per le Marche, 86 (1981), Ancona 1983, pp. 141-142.
5. Ettore Baldetti, Per una nuova ipotesi sulla conformazione spaziale della Pentapoli. Rilievi topografico-storici sui toponimi di area pentapolitana in Istituzioni e società nell’alto medioevo marchigiano, parte seconda, p. 863.
6. Currado Curradi, Pievi del territorio riminese nei documenti fino al Mille, Rimini 1984, pp. 93 in nota, 103.
7. Antonio Carile, Terre militari, funzioni e titoli bizantini nel “Breviarium” in Ricerche e studi sul “Breviarium Ecclesiae Ravennatis” (codice Bavaro), Roma 1985.
8. Ettore Baldetti, La pentapoli bizantina d’Italia tra Romania e Langobardia in “Ati e memorie della deputazione di storia patria per le Marche, n. 104 (1999), Ancona 2003, pp. 30, 59.
9. Oreste Delucca, L’uomo e l’ambiente in Valconca, Bologna 2004, pp. 61-62.
10. Emiliano Bianchi, Il monastero di San Gregorio in Conca. Patrimonio e organizzazione del territorio (secc. XI-XII), Rimini 2005, pp. 41, 49 in nota.
11. Francesca Fiori, Tracce della presenza bizantina nella toponomastica dei territori dell’Esarcato e della Pentapoli fra VII e XIII secolo in Archeologia e storia di un territorio di confine, a cura di C: Ravara Montebelli, Roma 2008, pp. 88-90.
12. Raffaele Savigni, L’organizzazione ecclesiastica nel territorio riminese (secc. VIII-XII) in Pier Damiani e il monastero di san Gregorio in Conca nella Romagna del secolo XI, a cura di N. D’Acunto, Spoleto 2008, p. 180.
13. Ruggero Benericetti, Gemmano e l’antica Val Conca nell’alto medioevo, in Vincenzo Colombari, Gemmano, a cura di P. Novara, Villa Verucchio 2009, pp. 133-136.
14. Francesco Vittorio Lombardi, … a tertio latere limes (sic) maris et a quarto foveum castri conche in “Studi romagnoli”, LXII (2011), pp. 475-486.
15. Andrea Tirincanti, Le pievi nel territorio della bassa Valcona nell’alto medioevo in Gli scavi di San Pietro in cotto e il territorio della Valcona dall’età romana al medioevo, a cura di E. Cirelli, Rimini 2014, p. 266.
16. Francesco Vittorio Lombardi, Dal castello di Conca al municipio romano Forum Iulii Concubiensium, Rimini 2014, pp. 19-24 (Il territorium castri Conke), pp. 25-32 (La pieve del castello di Conca dedicata a San Giorgio).
Trattano del castello di Conca ma omettono le citazioni sulla localizzazione di castrum e pieve trattati nel volume La Cattolica del Cinquecento, Roberto Bernacchia (Incastellamento e distretti rurali nella Marca anconitana, Quaderni della Rivista di Bizantinistica, 5, Spoleto 2002) e Marco Sassi (Castelli in Romagna. L’incastellamento tra X e XII secolo nelle province romagnole e nel montefeltro, Cesena 2005)
Note sui commenti sul capitolo dedicato all’Industria alberghiera
1. Sulla rivista “Proposte e ricerche” (5, 1980), appariva una breve recensione de La Cattolica del Cinquecento, in cui si criticava come inopportuna l’espressione “industria alberghiera” per il capitolo relativo alle locande. Si faceva notare che nel volume era dato spazio anche agli alberghi con questo commento: “ma che stranezza parlare di ‘industria alberghiera’, e per il Cinquecento, poi!”. A giustificazione posso ribattere che quella stessa espressione in realtà faceva già parte della storiografia economica del primo Novecento, riferita peraltro anche ad età precedenti. L’aveva adottata già Amintore Fanfani in un saggio intitolato Note sull’industria alberghiera italiana nel Medioevo (in Saggi di storia economica italiana, Milano 1936) ed era stata replicata anche da Mario Romani in un’importante monografia (Pellegrini e viaggiatori nell’economia di Roma dal XIV al XVII secolo, Milano 1948). In quest’ultimo documentato lavoro, che è stato basilare come punto di riferimento per le mie ricerche sull’economia del viaggio, il secondo capitolo aveva per titolo L’industria alberghiera romana e il terzo La disciplina dell’industria alberghiera romana. Dunque non si può parlare di ‘stranezza’, dal momento che si tratta di una definizione ben collaudata da autorevoli studiosi.
2. In un suo documentato articolo, intitolato Osterie quattrocentesche della Cattolica, apparso su “Studi Romagnoli” (XLV, 1994), pubblicato nel 1997, a conclusione di una serie di schede con regesti di atti notarili relativi a transazioni di immobili, affitti di esercizi commerciali o più semplicemente citazioni riguardanti appunto osti e osterie di Cattolica nel XV secolo, Oreste Delucca scrive:
Si è parecchio insistito sul forte incremento dell’attività ricettiva realizzatosi nel Cinquecento ed in particolare nella seconda metà del secolo, lasciando intendere che solo in quel periodo Cattolica avrebbe raggiunto la piena affermazione nel settore alberghiero; in studi successivi si è registrato un parziale aggiustamento, recuperando un poco la realtà quattrocentesca. La documentazione testé prodotta, che evidenzia l’esistenza di quattro esercizi con insegna e quattro senza insegna (compreso quello sul Conca), mostra che nel XV secolo l’ossatura ospitatativa del borgo è già saldamente impostata a conferma della sua vocazione originaria.
Ne La Cattolica del Cinquecento (p. 84), a proposito dell’ ‘ossatura ospitativa del borgo’ scrivevo:
Sia nel ‘400 che nel ‘500, le più importanti osterie della Cattolica erano raggruppate nella zona gravitante intorno alla Rocca e alla chiesa di S. Apollinare, accanto ai luoghi dove si accentrava la vita civile e religiosa del paese e naturalmente sulla Flaminia.
Mi riferivo in quel contesto alle locande all’insegna della Stella, della Campana e della Corona, di cui avevo già documentato l’attività nel XV secolo. La relazione del provveditore veneziano Malipiero (1503) aveva censito a Cattolica “5 case dove se li fa hostarie”, che pagavano all’erario 10 ducati all’anno, verosimilmente con la riscossione di due ducati da ogni esercizio. È logico supporre che quelle cinque osterie fossero attive anche nel Quattrocento e soprattutto dovevano essere tutte strutture in grado di rispondere alle esigenze dei viaggiatori con opportuni servizi (vitto, alloggio, ricoveri per gli animali), vd. La Cattolica del Cinquecento pp. 22-23. In altri passi della mia trattazione avevo richiamato l’impostazione di centro viario del castrum duecentesco di nuova fondazione, rimarcandone già allora l’identità originaria, evidenziata anche dalla presenza di un oste/albergatore nel 1284 (p. 79) e di un ospedale nel 1293 (p. 133), ossia di strutture laico assistenziali a supporto dei viaggiatori. Dunque l’ossatura ospitaliera risultava chiaramente impostata fin dal Due-Trecento. Nel prosieguo della mia indagine avevo aggiunto altri tasselli di conoscenza su quelle cinque insegne, messi in luce poi con la pubblicazione ne La strada e il mare (1993) dei documenti ricavati dai protocolli del notaio Martino Lunardelli che mi avevano restituito una quarta insegna, quella dell’osteria dell’Angelo. Ebbene, dopo lo “spoglio sistematico delle carte quattrocentesche riminesi” (Delucca, p. 35), le osterie con insegne documentate a Cattolica rimangono sempre quattro, cioè lo stesso numero e le stesse insegne riportate negli studi pubblicati dalla scrivente tra il 1979 e il 1993. Ma esaminiamo più attentamente la questione, rispondendo all’affermazione di Delucca del supposto “parziale aggiustamento” della realtà quattrocentesca. Ne La strada e il mare, a proposito di una prolungata sosta a Cattolica nel cardinal di Milano e della sua comitiva (1482), riportata nel Raccolto istorico della città di Rimini di Cesare Clementini, commentavo (p. 31):
Le osterie di Cattolica, per una settimana, erano state in grado di ospitare quel “buon numero di gente”. Buona capacità ricettiva dunque e una discreta fama come luogo di ristoro.
Mi riferivo, in quest’ultimo caso, al pranzo consumato nelle osterie del luogo dal legato Burcardo e dal suo seguito (9 agosto 1496). Non ha senso dunque parlare di “parziale aggiustamento”, considerato che si partiva dalle cinque osterie censite dal Malipiero (fonte peraltro taciuta da Delucca), e le si confrontava con le undici/dodici unità attive negli anni 1582-1583 (La Cattolica del Cinquecento, pp. 127-128). Bisogna d’altro canto osservare anche che nel 1514 si compie, con vari atti di compravendita, un definitivo accorpamento di due delle più importanti osterie. La Stella ingloba la Campana e pertanto raggiunge un più elevato livello di efficienza migliorando la sua capacità ricettiva e l’offerta di servizi. Anche le stalle, situate sul fronte opposto della strada, vengono unite, dando luogo ad un complesso che nel tempo verrà ricordato come lo ‘stallone della posta’ fino al primo Ottocento. Di lì a poco infatti, l’osteria/albergo diventerà la sede ufficiale della posta cavalli del ducato di Urbino prima e dello Stato pontificio poi. Un contemporaneo, il notaio Francesco Bolognini di San Giovanni in Marignano, i cui atti iniziano nel 1546, in occasione della visita apostolica di monsignor Sormani (1571), affermava: “detto luoco è cresciuto assai da poco tempo in qua di persone, dove altre volte non vi erano che tre hostarie, o vero 4, et al presente ve ne sono nove e vi sono più di cento anime e vi capitano molte persone per essere un luoco di passo molto grande” (La Cattolica del Cinquecento, p. 71). Se le 3/4 osterie possono considerarsi una cifra al ribasso, ma non troppo lontana dalla realtà, vista la fusione di Stella e Campana del 1514, le nove osterie censite dal notaio sono incontestabili, dal momento che nel 1582 veniva predisposto l’alloggiamento di soldati spagnoli in transito in dieci osterie, al cui appello però mancano quelle all’insegna della Corona e dei Tre Re (esercizi sicuramente attivi tra 1582 e 1583). Alcune di queste strutture (San Giorgio, Tre Re, Luna, con l’aggiunta anche di una domus cum cantina) facevano parte di un piano di lottizzazione gestito dai Passionei di Urbino, proprietari delle terre situate sul lato monte della Flaminia. Dunque, quanto appena rilevato giustifica ampiamente le mie affermazioni in merito a crescita e sviluppo dell’attività alberghiera in quel periodo storico. Infine un ulteriore appunto. Tutte le schede riportate da Delucca segnalano esclusivamente la collocazione archivistica del documento. Nessun cenno viene fatto a quali fossero già edite, per cui il lettore non ha nessuna possibilità di vagliare quanto si conoscesse prima della pubblicazione del suo articolo. Mi limito a precisare che su dodici atti notarili, relativi alle osterie della Campana e della Stella, compresi tra il 1413 e il 1471, ben dieci erano già stati pubblicati dalla scrivente. Tra questi basterà ricordare l’atto di Rodolfo Paponi del 1466, dove si cita per la prima volta l’insegna della Campana (La strada e il mare, p. 29) e ancora quello del 1471, dove compare la prima citazione dell’osteria/albergo della Stella, connotata negli atti precedenti come hospitium. Quest’ultimo documento lo avevo rintracciato nell’archivio Carpegna Falconieri, grazie alla disponibilità e cortesia del principe Guidubaldo, in occasione delle mie ricerche per la tesi di laurea (1975-1976) e pubblicato poi ne La Cattolica del Cinquecento (1979). Ulteriori e più dettagliate spiegazioni verranno pubblicate a breve.