M.L. De Nicolò, Le tane del vino. Cantine, 'volte profonde', grotte secoli XIII-XIX, Villa Verucchio 2010.
La ricerca sul tema della conservazione del vino messa a punto in queste pagine è stata ispirata da due precisi motivi: il primo è quello di voler completare una serie di studi e di approfondimenti in merito alla conservazione degli alimenti, già affrontati in tempi pregressi e portati alle stampe con la pubblicazione di saggi sulle fosse da grano (De Nicolò, 2001) e sulle conserve o ghiacciaie (De Nicolò, 2004); il secondo invece è la constatazione del vuoto storiografico intorno all’argomento, fino ad oggi rimasto piuttosto ‘trascurato’, anche a detta di un’autorevole studioso della civiltà del vino quale Gabriele Archetti (Archetti, 2002).
Per affrontare il problema si è partiti perciò da un’analisi nel lungo periodo, cioè dal basso Medioevo all’Ottocento, della trattatistica di carattere agronomico ed al contempo dei manuali di architettura, degli studi sulle costruzioni, rurali ed enotecniche in primis, senza trascurare il confronto con gli autori latini, sulla cui fortuna e riscoperta in età medievale e moderna sono stati evidenziati in questo studio numerosi richiami, utili a dimostrare quanto la precettistica classica sia servita da ammaestramento nel corso dei secoli, confluendo perfino nei testi di ‘enotecnica’ dell’Otto-Novecento.
L’approfondimento avviato si aggancia poi anche ad un altro tema di ricerca che ha come oggetto i sistemi ipogeici individuati in alcune località di Romagna e Marche che, dalla fine degli anni Ottanta del Novecento ai giorni nostri, hanno destato curiosità e attenzione da parte di studiosi locali, architetti, geologi, archeologi.
Dal 1988 in avanti, con l’uscita di scritti in merito a queste architetture sotterranee e a seguito di un convegno svoltosi a Santarcangelo di Romagna, l’interesse è cresciuto e con esso l’esigenza di conoscere meglio queste strutture, sia per ciò che concerne la loro origine, sia sul fronte delle specifiche destinazioni d’uso.
Senza entrare nel merito delle varie ipotesi interpretative proposte nei testi fino ad oggi editi, peraltro assai problematiche e complicate per le località che evidenziano percorsi nel sottosuolo semplicemente scavati del ‘tufo’ senza rivestimenti in pietra o laterizio, grazie all’apporto della fonte archivistica, come nel caso appunto di Santarcangelo di Romagna, si è trovato un nesso assai significativo fra grotte ‘tufacee’ e conservazione vinicola.
La documentazione già raccolta, riferibile ai secoli passati, ha infatti comprovato l’esistenza nel sottosuolo della cittadina romagnola di numerose celle vinarie del tipo definito “a nicchie”, come si dirà anche in questa sede, che possono riconoscersi e identificarsi, almeno in parte, nel sistema ipogeico ancora oggi visitabile.
Nella primavera del 1988, in una serie di articoli apparsi sulla stampa locale prima della giornata di studi annunciata a Santarcangelo (15 maggio), Giovanni Rimondini era entrato nella questione fornendo in qualche modo la soluzione riguardo alla destinazione originaria degli ipogei in discussione, almeno di quelli più complessi per forma e soluzioni spaziali, riconoscendoli come celle vinarie progettate e disegnate da architetti neoclassici (“Le grotte sono cantine neoclassiche”, “Il Resto del Carlino”, Cronaca di Rimini, 18 marzo 1988). Lo studioso riminese richiamava a questo proposito il confronto con i sotterranei della Champagne, in Francia, e di Oporto, in Portogallo.
Gli atti del Convegno di Santarcangelo, che portano come data di edizione il 1994, non hanno tenuto conto degli spunti forniti da Rimondini, che non hanno trovato seguito neanche quando, a due anni di distanza, l’interesse è ricaduto sulle grotte di Cattolica.
Nel 1996 infatti, gli esiti dell’indagine di un gruppo di lavoro sorretto da un finanziamento pubblico, sono confluiti nel catalogo di corredo ad una mostra documentaria che raccoglieva apporti di diversi autori a conclusione di una campagna di rilievi, a cui si era aggiunta una laboriosa ricerca archivistica e l’analisi geologica e dei materiali edilizi usati nel rivestimento delle gallerie. Questi stessi ipogei erano già stati resi noti con una pubblicazione della scrivente del 1988, in cui si esibivano una serie di ricognizioni, rilievi e riprese fotografiche eseguiti negli anni sessanta e settanta.
Tra il 1987 e il 1996 dunque è stato completato il rilievo sistematico degli ‘ipogei tufacei’ di Santarcangelo e si sono riaccesi i riflettori sulle gallerie di Cattolica, lasciando però in sospeso tutte le eventuali ipotesi e conclusioni circa origini e finalità d’uso di quelle strutture, come peraltro viene ribadito per iscritto in una pubblicazione del 1998: “Pensare e concludere che furono scavate per servire come depositi di vino non è sufficiente ed è quindi sicuramente opportuno eseguire ulteriori sondaggi e studi per appurare il grande valore storico e artistico che rappresentano” (Il rilievo, la tipologia, la tecnica in Le grotte. Il fenomeno ipogeo nella città di Santarcangelo, a cura di Italia Nostra, Gruppo di Santarcangelo di Romagna, sezione di Cesena, Imola 1998). Recentemente sono state di nuovo riproposte all’attenzione degli studiosi le grotte di Santarcangelo, Cattolica, Gradara, Camerano, Osimo e altre località nell’ennesimo convegno di studi (Ipogea. Percorsi sotterranei adriatici: la rete dei luoghi nascosti, Santarcangelo, 27-28 settembre 2008).
Dai materiali editi negli anni Novanta, come anche dai periodici aggiornamenti recuperabili nella navigazione telematica si evince insomma una situazione di ‘stallo’ delle ricerche che si sono rinverdite solo con l’aggiunta di suggestivi reportages fotografici. Un nuovo respiro alla ricerca può infatti essere prodotto solo con una seria indagine storica, che risulta appunto l’anello mancante, utile a dare forza all’ ipotesi più credibile, ma lasciata ancora in sospeso.
Con questo studio si tenta di colmare la lacuna attraverso la proposizione di fonti antiche e medievali e la disamina di testi dal Cinquecento in avanti, in qualche modo utili a recuperare informazioni sull’utilizzo di strutture per la conservazione del vino. Il risultato è confortante, dal momento che sono parecchi i dati raccolti che convergono su questo utilizzo delle architetture sotterranee fatte oggetto del nostro studio.
Le informazioni raccolte nelle pagine qui a seguito dimostrano infatti che, in alcune aree della penisola italiana interessate da situazioni geologiche favorevoli allo scavo in profondità, la realizzazione di gallerie nel sottosuolo destinate alla conservazione del vino si può certamente far risalire al basso medioevo (XIII-XIV sec.), come ben si evince e documenta negli statuti di Montepulciano che spiegano come, in presenza di cavità naturali, i vignaioli del medioevo già sfruttassero le peculiarità dei luoghi sotto terra per una migliore conservazione del vino, garantita dalla bassa e costante temperatura degli ambienti in cui poteva essere ricoverato.
Un’indagine ulteriore incentrata sui Castelli romani, in cui si documenta una sorta di ‘modello’ per quanto attiene appunto alla conservazione dei vini, ben testimoniato peraltro dalla manualistica sulle costruzioni enotecniche, che possa trovare collegamenti e possibilità di confronto nelle analoghe strutture rilevate nella Romagna e nelle Marche, permetterebbe di apportare nuove e decisive informazioni sull’origine di questi manufatti.
La peculiarità dei sistemi ipogeici rilevati infatti, sembra essere quella delle ‘gallerie a nicchie’, sia nei Castelli romani, sia nelle località marchigiane e romagnole indagate, in cui sono state individuate appunto strutture sotterranee riconducibili a depositi per la conservazione del vino.
Grotte e criptae sotterranee esistevano già nel Cinquecento e forse anche nei secoli precedenti, nei dintorni di Roma, a Monterano, Ariccia, Bracciano, Genzano.
Un’ulteriore proficua ricerca dovrà essere direzionata anche nei territori della Puglia, con particolare attenzione agli insediamenti di Barletta, Trani, Andria e soprattutto Canosa, dove si hanno testimonianze dell’esistenza di grotte sotterranee per la conservazione del vino costruite “a galleria”, con tutta probabilità rispondenti ai medesimi criteri rilevati nell’area laziale e nei menzionati territori di Marche Romagna.
Per aggiungere certezze dunque la ricerca va allargata anche geograficamente con censimenti e analisi in altre aree regionali e lo studio qui proposto, che peraltro avrà un seguito con la pubblicazione anche dei dati archivistici riferiti alle località tra Cattolica e Pesaro, può valere come stimolo a procedere, anche per la conoscenza di queste strutture e la valorizzazione dei territori in cui sono ancora perlustrabili.